Via Marconi - già "I Cruci"
Tutti l’hanno sempre conosciuta con un altro nome: “I Cruci”, perché in fondo vi sono le Croci del Calvario di Nostro Signore Gesù Cristo. La strada, prima, era acciottolata, adesso è asfaltata. Un tempo su questa strada abitavano i “Mangravitari” cioè quelli che avevano la campagna a Mangraviti. Le case sono molto vecchie; qualcuna, però, è stata restaurata. Come in tutti i centri storici, le case sono a schiera. In fondo alla strada vi è la chiesetta dell’Addolorata che viene aperta in determinati periodi dell’anno: durante le festività pasquali è meta di devoti che vanno a visitare i Santi Sepolcri; nel mese di settembre si celebra la festa dell’Addolorata e la chiesa rimane aperta per quindici giorni. Dalla fontana in su, nel tratto terminale, abitava una schiera di contadini che per lo più “praticava a Mangraviti”. “...Versu li Cruci ‘ncera: Pataracchi, - Gangali, Valienti e Sciriviti chi quasi quasi tuttu Mangraviti - era lu sua...”. Contadini benestanti: avevano tutti “u chiancatu chinu de patati” (la soffitta piena di patate. Gli facevano buona compagnia gli Olivadese, la famiglia di Giuanni de Maria de Marco, i Marinaro, i Quaresima... Sino agli anni ‘50, la carreggiata era molto stretta: quasi tutte le case avevano la scala esterna. Queste appendici rispondevano ad esigenze funzionali: si guadagnava spazio all’interno delle abitazioni; i sottoscala venivano adibiti a deposito degli attrezzi di lavoro e di ogni altro oggetto di uso quotidiano; costituivano immediato sfogo agli ambienti angusti: vi si trascorrevano le serate afose e i parlottii si intrecciavano da scala a scala. Spesso sul “mignanu” veniva intrattenuto il visitatore occasionale. Sui muretti facevano bella mostra vasi di basilico o di peperoncino rosso; in un cantuccio, spesso, si intravedevano grosse e gialle zucche che la previdente contadina aveva “cantijato” per la mala stagione, per l’inverno: zucca a vermicelli con fagioli e patate, il tutto soffiitto in padella, era un saporito piatto. Invece, dalla fontana, via via che si scende al “Piano”, verso il centro della cittadina, l’elemento sociale si presentava più complesso e si aggiungevano: sarti e barbieri, Sergi e Stranieri; stagnini e coddarari, i Savoia-Rizzello, che per deferenza alla Casa Regnante furono cambiati in Savaia; Domenico Cristofaro, telegrafista e poliglotta, e il fratello Vincenzo Cristofaro che “imbarcava per l’America ricca” e che gestiva, al Piano, un negozio nel quale vendeva, tra l’altro, bicchieri... e pirra (trottole); Donunicu Vonella che con il “traino”, fece, tutta la vita, la spola Girifalco-Catanzaro Marina e viceversa; Turi Palaia che da sarto si fece negoziante di generi alimentari; colui che si procurava da vivere “imparando” a leggere e a scrivere: a sera, da Lumarduzzu Catalano era un via vai di ragazzi, di giovani, di gente che aveva superato l’età scolare o che alla scuola pubblica non poteva andare perché di giorno occupati in campagna. Il “basso” era rischiarato dalla fioca luce del lume a petrolio, un lusso per quei tempi! Il sillabare di quegli scolari maturi, che veniva fuori dalla “mezza porta”, si dileguava per i “Cruci”. •” Anche se anomala, quella di Lumarduzzu Catalano era una scuola serale anzi tempo. I “fimmani de casa”, coloro che non andavano in campagna, non stavano con le mani in mano: cucivano, ricamavano, tessevano. “...Si passi pe li strati a juarnu chiaru versu li CRUCI o versu Misconì sienti la melodia de lu tilaru chi fa lu ta-ta-bù lu ta-ta-ttì”. In prossimità del “Piano”, Micheluzzo Rizzello, “U Cristu”: finché visse, a lato del portone di casa sua, rimase issata la grande croce di legno sulla quale, più volte, interpretò, nella “Pigghiata”, la parte di N. S. G. C.. Un socialista romantico, libertario, laico e chiesastico, “sui generis”: faceva parte del Seggio Priorale della Confraternita del S.S. Rosario; tirava il manto nero alla statua della Madonna “nella Cunfrunta” con Gesù Risorto; presiedeva la sovversiva e socialista “Società Operaia di Mutuo Soccorso.” Portava la barba lunga ed incolta; era falegname ed era molto ricercato quale mastro carraio. All’angolo, alla confluenza con via Fontana, da settembre stazionavano carri colmi di fichi d’India: erano i “ficundianari” che venivano dalla “Coscia di Squillace”. Dal carro partivano tante giovanette con i panieri colmi; si diffondevano per le strade e vichi circostanti: gridavano la bontà della loro merce, ne decantavano la provenienza e la barattavano “a due parti” cioè” prendi due e paghi uno”. “I Cruci” prima che fossero dedicati a Guglielmo Marconi, nel tempo furono variamente denominati: dapprima furono dedicati al patriota napoletano, Pietro Colletta, e con tale denominazione li rinveniamo in rogiti del notaio Giuseppe Cimino risalente al 1785; in seguito furono denominati via Colucci, un segno di riconoscenza a Giuseppe Colucci, prefetto di Catanzaro dal 1784 al 1881, che si prodigò affinchè l’Ospedale Psichiatrico provinciale fosse localizzato a Girifalco e sotto questa denominazione li rileviamo in atti di trascrizione di rogiti notarili risalenti 1925. Ma il toponimo è duro a morire: gli anziani e non solo gli anziani continuano a chiamare questa strada, i “Cruci”.